In un paese in cui l’Università è principalmente pubblica, il tema del fundraising per le università è ancora considerato di nicchia e soprattutto il bisogno non è riconosciuto nel sentire comune delle persone. Che si tratti di pubblico o privato infatti, la domanda più ricorrente che si sente rivolgere chi cerca di raccogliere fondi in questo settore è: “Perchè dovrei dare dei soldi all’Università? Ho già pagato la retta”.
Inoltre, quando si parla di fundraising per le università in Italia e nell’Europa continentale, la maggior parte delle persone, ma anche dei fundraiser, pensa in primis a grandi partnership con aziende, fondazioni e grandi donatori.
Nell’immaginario collettivo si pensa spesso che le piccole e medie donazioni dei singoli individui non possano fare la differenza per queste grandi istituzioni. E lo stesso cittadino è spinto a considerare più impattante una piccola donazione ad un’altra organizzazione piuttosto che ad un’università.
Se si guarda però oltreoceano e oltremanica, dove la cultura del dono e il fundraising per le università sono tradizioni radicate, le cose non stanno proprio così.
Basti pensare che uno degli indici con cui le università americane si confrontano in termini di fundraising non è solo l’ammontare di fondi raccolti, ma la percentuale di Alumni che sono anche sostenitori dell’Università (al momento il primato è di Princeton con il 59%). Ciò significa non solo che la cultura del dono è fortemente radicata, ma anche che le piccole donazioni sono considerate importanti come in qualsiasi altro settore.
Qui di seguito abbiamo riassunto i 5 concetti base da tenere a mente per realizzare una strategia di digital fundraising universitario:
A differenza di altre organizzazioni che fanno raccolta fondi, le quali devono creare un rapporto da zero con i propri donatori, le università partono avvantaggiate. All’interno del loro cerchio di costituenti, infatti, hanno tantissime persone che hanno già un legame particolare, nella maggior parte dei casi unico, con l’istituzione: gli Alumni, ovvero gli ex studenti.
Questo legame, se riscaldato a dovere, è il primo ponte per aggiungere il tassello della donazione a una relazione, che in molti casi dura da tanto tempo. Ma attenzione! Questo tipo di legame pregresso può anche essere un’arma a doppio taglio: se l’esperienza in università non è stata delle migliori o se, soprattutto, queste persone non hanno notizie della propria università da dopo la laurea, il senso di appartenenza all’istituzione potrebbe essere comunque debole.
È quindi fondamentale, quando si parla di Annual Giving, associare a una strategia di fundraising, una startegia di engagement e relazione con gli alumni che offra anche altri modi per rimanere in contatto con l’istituzione.
Gli Alumni di un’università sono un grande insieme di persone con qualcosa in comune: aver studiato tutti nello stesso ateneo. Questo grande insieme però può essere suddiviso in tantissimi sottoinsiemi: quelli che hanno frequentato una determinata facoltà, un determinato corso di laurea o un master, quelli che si sono laureati in un determinato anno (o decennio), quelli che hanno ricevuto borse di studio per merito o quelli che le hanno ricevute per bisogno, quelli che provenivano da paesi stranieri o quelli che hanno aderito a questa o quella associazione.
Nel momento in cui si va a fare una richiesta di donazione, è fondamentale creare una relazione di engagement che si colleghi il più possibile con l’esperienza dell’alumnus/donatore. Per questo nel fundraising per le università sono diffuse le raccolte fondi delle singole classi o relative agli anni di laurea e immatricolazione.
Inoltre, anche il progetto di sostegno proposto verrà preso più a cuore se il donatore potrà più facilmente identificarsi in esso: ad esempio, in linea generale uno studente di economia sosterrà più volentieri la borsa di studio per uno studente di economia oppure una classe donerà più volentieri se potrà mettere a fattor comune lo sforzo di tutti i propri componenti.
In una relazione che comincia molto prima della donazione, il ringraziamento e la stewardship possono diventare ancora più fondamentali. In molti casi, infatti, la donazione potrebbe essere il primo gesto fatto dall’Alumnus/a per riallacciare i rapporti. È fondamentale quindi mettere a punto un piano di fidelizzazione volto a ringraziare, aggiornare e mantenere vicino (anche per un rinnovo) tutte le persone che hanno deciso di fare una donazione. Come? Creando ulteriori gruppi di appartenenza per i donatori, fornendo loro privilegi e benefit immateriali anche in virtù della cifra donata (ad esempio l’accesso alla biblioteca universitaria o l’invito ad eventi riservati).
Le università americane sono una fonte inesauribile di ispirazione riguardo alla stewardship, ma sicuramente l’azione più famosa e ricorrente è il cosiddetto “donor roll”: ovvero la lista di tutte le persone che hanno deciso di sostenere l’Università da far apparire sul sito, sul donor report cartaceo/digitale distribuito ogni anno, oppure su un wall durante l’evento di ringraziamento annuale.
Questa azione, oltre a dare l’occasione all’Università di ringraziare pubblicamente i propri donatori, è in grado di creare “l’effetto domino” e influenzare positivamente altri Alumni a fare lo stesso. Per prendere spunto, a questo link potete vedere il programma di riconoscimento dell’Università pubblica americana con il più alto tasso di donatori tra gli Alumni.
Come dicevo prima, quando si parla di ri-coinvolgere o in molti casi di coinvolgere per la prima volta gli Alumni di un’università, è molto importante porsi anche degli obiettivi coerenti: quando si parla di Annual Giving, ovvero l’insieme delle donazioni individuali e medio-piccole che ogni anno un grande numero di persone fa all’università, è necessario tenere in considerazione anche quante persone decidono ogni anno di fare questo gesto e quante di rinnovarlo. Soprattutto in fase di startup, tenere a mente questo tipo di indicatori e comunicarli può aiutare a creare senso di appartenenza, esempio ed engagement.
Nel 2020, indipendentemente dalla fortissima digital transformation generata dalla pandemia in corso, è fondamentale prevedere una strategia digitale per la raccolta fondi. Nel contesto universitario questo canale è ancora più fondamentale perché:
Nella piramide di Maslow l’istruzione universitaria non è uno dei bisogni primari per la sopravvivenza, ma nel 2020 è sicuramente la causa su cui investire per poter avere un impatto concreto sul futuro del mondo.
Sebbene la cultura del dono non sia ancora particolarmente diffusa in Italia, 3 sono i vantaggi che le università hanno nella raccolta fondi individui:
P.S. iRaiser lavora con diverse Università in Italia e in Europa: Bocconi, Università Campus Bio-Medico di Roma, Università degli Studi di Padova, Sciences Po, Università di Nantes, Université Catholique de Louvain e HEC.
Vuoi saperne di più su come costruire una strategia per i tuoi donatori regolari con iRaiser? Leggi il nostro articolo.